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      Tale era la mia intenzione, di seguire cioè e l'una e l'altra indagine nel parlarvi di Gabriele D'Annunzio, e, per primo, mi era accinto alla doverosa biografia; quando m'accorsi, che, per quanto animato d'ogni migliore volontà, ajutato d'ogni più lata referenza, non mi veniva fatto di trovare una logica, un nesso, una sequenza anche nella sua vita, sopra tutto, un ordine che me ne spiegasse le vicende. Forse io era privo di quelle benigne informazioni che provengono sempre dalla fonte più interessata, che ti guidano la mente nel pensare e la mano nello scrivere verso quelle destinazioni laudative che fan tanto piacere alla stessa fonte. Per ciò si comprende subito come l'acqua sua sia sempre ottima alla sete d'altrui. Non era, in fatti, l'individuo il più adatto a ricevere dalla viva voce del personaggio, l'aneddoto capzioso, la barzelletta cortese, il bon-mot elegante, le rettifiche alle curiosità troppo sfacciate dei giornalisti; ad essere, cioè, il porta-parola di severo aspetto, per rivendicazioni, elogi, amplificazioni, apologie. Il mio prossimo passato mi aveva fato immune di queste confidenze e mi faceva ora obbligo di una scienza d'annunziana tutta creata me da me, con fatica di ricerche, sudori di letture, ingratitudini di lavori improficui, disinganni di notizie ad arte falsificate, di cronologie sbagliate a bella posta.
      Così, anch'io desidero di essere convinto, per esperienza, nello scandagliarne la vita, della eccellenza e bontà d'annunziana ed avrei fatto eco ben volontieri a queste note parole del Morello: "Tutti coloro i quali, sulle leggende che corrono le vie, si foggiano un d'Annunzio [di maniera, il loro d'Annunzio] cinico e inverecondo, tutto intento a sorprendere per suo particolar gusto e interesse, con le sue mostruose figurazioni, la buona fede del pubblico, non imaginano [e forse] non sospettano neppure, che nell'angolo remoto del suo studio sia un d'Annunzio diverso, e per fortuna il d'Annunzio autentico, cioè l'artista che dell'arte ha fatto la ragione suprema della vita, e un po' anche l'uomo [non estraneo all'umanità, l'uomo] che conosce il dolore che non descrive, forse più delle gioie che descrive troppo!


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126

   





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