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      . Ma, per quanto frugassi, codesto autentico D'Annunzio non mi venne fuori; e, se trovai anche, in camera caritatis, delle strida, delle urla e delle lagrime, non dolore rinvenni, perché sempre assente dall'analgesico suo cuore1; perché altro è Leopardi, altro il Pescarese.
      Così, anch'io, incalzando da presso la sua opera, quest'arte sua che lo fa vivere, non per cui vive, voleva scoprire, sulle fibre più sensibili e squisite, le cicatrici, postumo di tante sconfitte secrete che in un drama intimo la sua volontà aveva inferto alla sua facilità, perché il poeta si espurgasse, cioè, le traccie di quel drama di cui parla catastroficamente il Gargiulo nel suo studio; ma nessun segno inciprignato mi fu dato osservare.
      Se serietà e lavoro paziente ed efficace egli conduce nel suo studio-laboratorio, se drama si avvicendò nella sua opera, per lo svolgimento della sua arte, nello scoprire la diritta via, nell'opporsi ad intrichi ed allettamenti, per farsi sé stesso, sempre; se questi segni, per cui si manifesta l'imperio su sé stesso e nel carattere e nel poema esistono, io non li scorsi; però che, forse, mi mancarono alli occhi quelle lenti, speciale privilegio de' mignoni delli autori, colle quali, telescopicamente, si scoprono le virtù, che sono assenti ad occhio nudo; come le grandi machine de' canocchiali di osservatorio astronomico fanno apparire, nel vuoto cielo notturno, miriadi di stelle sotto il miracolo de' loro obiettivi. Io, adunque, povero mortale e non addentro alle secrete confidenze d'annunziane, non vidi in lui che quanto il mio buon senso mi fece osservare, che quanto la gazzetteria spicciola d'ogni giorno, la quale non fu mai rimproverata di dire il falso, mi aveva fatto leggere sul più interessante del suo conto.


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126

   





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