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      Il poeta delle Laudi può far galleria, ritto sui coturni de' tarsi speronati, Chantecler, sfidando tutti i rimproveri, perché il suo bovarysmo pretende di mostrarlo per quello che vorrebbe essere letterariamente, un quid extra, fuori concorso, fuori del mondo, oltre il ragionamento, nel limbo della intuizione: prigioniero di questo errore di massima del suo orgoglio14, attestò sempre e continua ad autenticare, più che l'arte sua colla sua vita, la sua leggenda di perversità, di dissipazione, d'indifferenza superba, di crudele dilettantismo; leggenda che si inostricò sopra la realtà, che l'avvolse di calcare madreperlaceo, e, lucendo, soffocò dentro l'umile e sano mollusco, forse non rispondente in tutto all'imperialismo estetico d'annunziano, ma più utile ed onesto produttore. E codesta trasformazione, o meglio inversione, a cui riuscì, gli impose la necessità di ripetere, nella vita e nell'arte, - perché l'imaginazione umana ha pur un limite, anche per foggiarsi gli hors nature, le eccezionali creature di lussuria e d'isterismo, di inutile egoismo e di incesto - la fanfarona parata del vizio15; tanto più vizio, in quanto lustra multicolore d'esso, in quanto ancora insincerita.
      Se a questo avessero badato i maldestri suoi ammiratori, che cercano di inalzarlo a rappresentante dell'anima poetica di una razza e di un'epoca; se avessero saputo discernere subito quale era la lode ed il successo, cui l'abruzzese desiderava meglio di ogni altro; se avessero inteso il suo coraggio esagerato pel reclamismo e la sua necessità di lavorare per sostenersi, a definirlo non avrebbero scomodato la storia e Dante, la Rinascenza, la psicologia e l'erudizione.


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126

   





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