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      D'Annunzio ha preparato, invece, colla sua espertissima manualità molte lampade veneziane e giapponesi, ben dipinte, bene istoriate, magnifica carta: ma le fiammelle che le ravvivino, dove? Le cattura, all'azzardo di letture, di reminiscenze, pensieri di tutti, stille di fuoco e fuochi d'anime sprizzati altrove, zoofori estranei: li infigge dentro alle sue lampade. La curiosa illuminazione! Rende bujo più della oscurità. Come è confuso il periodo, come è traditore il concetto, come è tenebroso per essenza. Che dice, che vuole? Come mente! Credete a me: ci si accorge subito del parvenu, dalli abiti non suoi che indossa. Non suoi: li ha pur pagati, ma non gli si addicono; e il venturiero, che poteva essere elegantissimo in veste di boucanier, se vuol fare il gentiluomo od il filosofo, vuole mentirsi e mentire; donde un violento, un aggressore che giustifica, colla sua impudenza, la mancanza del diritto di proprietà: egli temeva d'essere sorpreso, grida più di tutti il sacrosanto dovere di difendersi dai pirati. Non credetegli: sa che è in mora, che è in bando, perché non può avvalersi del documento del pensiero suo. Allora urla e squinterna Nietzsche, ed incomoda Stirner; un'altra menzogna: gli gridan tutti "Non è tuo, non è tuo": la malleveria è povera ed inutile. Gli è che D'Annunzio è poeta d'azione semplicemente; ha violentato il binomio sacrosanto Pensiero ed Azione, e, perciò, vivendo male, cioè pensando male e volendo scrivere bene, non può che defraudare altrui di belle vite monde e sincere, per infagottarle nella giornea d'Arlecchino, ricucita da lui, ma stagliata nella stoffa dell'arte non propria: e però egli è l'eroe della menzogna19.


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126

   





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