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      Coll'essere l'eroe della bugia, non significa esserne il filosofo: anche qui, l'azione importò la mancanza del pensiero. Noi avremmo con piacere ammirato la costruzione architettonica di un sistema, che avrebbe dato sapor d'arte al pragmatismo di americana efficacia. Per D'Annunzio basta agirne le conseguenze: vi ho già parlato in proposito di puff e bluff, e non conviene ripetersi. E pure, altri più acuto di me, ha scoperto che coi suoi gesti muscolari, veramente disordinati, ha foggiato una filosofia: questa è che non assorge oltre il suo ventre, e, dal idealismo nietzsciano, il quale continua nientemeno Platone, estrusse la teoria della santità del delitto. L'humorista prende in parola l'adulatore e lascia cianciar l'adulato.
      Ci fermeremo alla sua Lettera contro i Catoncelli ed al relativo Più che l'Amore, a certe pagine del proemio delle Vergini delle Roccie, a certi mal sagomati imparaticci del Trionfo della Morte e via via. Lo sentiremo biascicare e balbettare esotiche parole filosofiche; vi si parlerà di giorno di trasfigurazione, avendo messo a profitto il suo Nietzsche che intende alla rovescia. Nella sua dramatica, due sono ed unici i principii emotivi: la lussuria e la superstizione; le sue facili liriche e prose romanzesche si svolgono con poche varianti su questa trama e dimostrano la pochezza della sua imaginazione; vi troviamo l'incesto, pieno o quasi, ed altre forme di bestialità - bestialitas nel senso della morale teologia. Così, i due fenomeni più rudimentali, più selvaggi della coscienza umana son presi a partito per il suo pathos, non di raffinato, ma di invertito.


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126

   





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