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      Egli, per non tradirsi, deve sempre esporsi così in mitria e grinta imperiale; non può sorridere con abbandono d'animo, con confidenza in sé e nelli altri, non desidera che di stordirsi e stordirli. È massimo Tartufo, un altro Ipocrito aretinesco, una categoria speciale ed interessantissima; come una ballerina matura, non oserà mai balzare, per nessuna contingenza capitale, né meno per le fiamme che le minacciano la casa, dal letto, seminuda, senza previo rafistolamento cosmetico: più tosto, alla ribalta ben accomodata, mostrerà decolleté e rétroussé; ma non è pelle la sua, è maglia di seta, è belletto, è cipria, è tintura.
      Con simili artifici di necessità, tropi inerenti ed organici al suo carattere poetico, come volete che sia D'Annunzio, un humorista, quando l'humorismo è l'abbandono cordiale e passionato della sincerità, del troppo pieno che sofre e gioisce; è la filosofia umana fatta passione e poema? - Egli non ci potrà mostrare che quella arguzia dozzinale, starnuto irritante dell'intelletto, quelle misere rappresentazioni volute a stento, stitiche e meschine, quel riso che suscita "un cane da caccia22 che abbaja dietro la propria ombra, una scimmia in giubbetto rosso, che, a bocca aperta, ammirasi tra due specchi; povero humorismo bastardo procreato dalla pazzia e dalla ragione intente, sulla pubblica via, a contendersi il predominio delli allocchi".
      Il predominio letterario, poi, che, sotto l'eufemismo dell'arte, mira a conservare il trust del mercato de' libri! Un'altra mancanza di sincerità; parlasi di ideali, dei diritti dell'arte, per conservare i privilegi della borsa, avvantaggiati dalla ignoranza e dalla malizia, covati dalle leghe editoriali, dalle chiacchiere dei follicolarii salariati.


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126

   





Tartufo Ipocrito D'Annunzio