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      Ad altro non para l'Epistola ai Catoncelli: è il ballo della scimmia e dell'orso sul tam-tam: ai lazzi scurrili si raduna folla: è l'humorismo che fa per lei e per D'Annunzio: il quale crede forse d'aver superato Aristofane23 "come fu studiato da Platone e dal Crisostomo; e, poi, trovato sotto i loro capezzali, servì ai capezzali delli altri, e, come tale, si dà a conoscere sempre, quand'anche costoro fossero più sinceri, appalesandosi, ancora una volta, spoglio delle greche costumanze, sempre sé stesso - Aristofane". Eh, sì! L'altro si limita a plagiare24 Alfieri, L'Arbre di Paul Claudel, Flaubert, Nietzsche, La Vie de Beethoven, Les lettres d'amour d'une anglaise... e che altro...: e perciò può darsi benissimo che si creda, o lo credano un humorista.
      No; non vi è humorismo nell'opera d'annunziana perché non è mai stata passata al lambicco della saggezza e dell'amore, sì bene in quello della di lui vita di fanciullo dissipato e vizioso. Il suo verso e la sua prosa accettano invece e cercano di coonestare tutti i piccoli motivi della sua fragilità, che sarebbe anche simpatica, se si mostrasse nuda e s'egli non se ne vergognasse, portatosi in sull'epica a fare il classico. E però, è nei suoi puri gesti di voluttuoso, di disinvolto, di facilone, di indiscreto, di spregiudicato che si rilevano le tare organiche del suo carattere e della sua letteratura, qualche volta eretizzata al segno di raggiungere la inversione e la immoralità: è, dal feroce contrasto tra la sua enfasi scintillante, che riempie di sonorità le platee, ed il suo vuoto morale, che riesce per il critico-filosofo-humorista la presenza e la persona d'annunziana.


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126

   





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