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      Lo ritenete sincero?
      Non ha fatto altro che speculare su quanto vi ha di più gretto nell'anima brevemente patriottarda delli italiani, sulle nostre superstizioni storiche, politiche, religiose, generalizzandone le sciocchezze, le trivialità, le ferocie anticivili. E non s'accorge della vecchia gherminella, in cui, volendo invischiare altrui, impecia sé stesso; e non vede, per quanto la consegna produca in sul margine del deserto eroi incoscienti, che vi ci si muore mal volontieri e che l'odio nazionale è la più trista e bassa forma di fobia serbata, nelle secrete e nei caveaux delli arsenali governativi, per degradare l'una con l'altra le nazioni, per far possibile un dispotismo, una teocrazia sia democratica, sia aristocratica, per dar ragione ad una dittatura di classe, quando non sia di uomo. Ed egli ha cantato La Canzone di Caprera, e buon per lui che fu eloquente dopo la Mario, che gli prestò ordito, trama, spola e canovaccio, stoffa e ricamo.
      Vi par in queste terzine, che grondano sanie e sangue, acqua santa ed acqua di mare, sabbia e fango, e si riavvoltano nella ferocia immonda del ferreo medioevo, con contorno di Crociate, di Sant'Uffizio e di superstizioni, di ritrovar quel poeta, il quale pretese da Nietzsche d'essere liberato, dopo d'averlo cantato distruttore; colui che confonde l'aristocratica anarchia di questo senza patria, con un Corrado Brando, il lambiccato Tirteo di una aggressione internazionale? In che modo noi lo conciliamo sotto questi plurimi aspetti che repugnano tra di loro?


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126

   





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