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      Portatemi esempi d'annunziani su questo tema; convincetemi ch'egli abbia vissuto come un Cristo e che perciò possa poetare come un Epicuro; ch'egli insomma fu ed è uno scettico soppannato da stoico: allora solo io vi concederò ch'egli sia una genialità.
      Con ciò io non vado negando le attitudini28 e le prestanze di cui è fornito D'Annunzio; ma vorrei a queste assegnare il posto che loro compete nella estimazione, e, se fosse lecito rivolgersi all'artista, dirgli quanto meglio sarebbero impiegate diversamente, e dove con maggior proprietà si vedrebbero in essere. Egli avrebbe dovuto limitarsi, dato il suo talento puramente formale e naturalista, semplicemente classico - nel senso scolastico - ad essere un compito registro del passato. Ad altri, che non a lui, compete l'ufficio di stendere l'elenco preliminare di quanto in seguito ha da venire: e se D'Annunzio ha creduto di surrogarne il posto vi si è crocifisso impotente. Per ciò egli, rimasto chiarissimo in apparenza nella dizione, vi è intimamente oscuro; cercando di rivolgersi al cuore del lettore per essere compreso non gli parla, mentre chi lo ascolta non può essere che l'erudita memoria: nessuno si sente commosso, nessuno è preso da emulazione a cantare con lui: e voi sapete che il vero poeta è colui invece, che, infiammandoci, ci spinge a portare seco, a superarlo, forse. Quand'egli declama noi lo stiamo ad udire dilettandoci semplicemente, non collaboriamo con lui; è solo coll'humorista che noi ci facciamo inanzi ben accolti dalla sua urbanità, dal suo sorriso; è solo con questo vivo serbatojo di energie passionali e poetiche, messo in attività dalla nostra vicinanza, che si comunicano le lunghe scariche elettriche del sentire e del godere en kinesei, cioè del produrre di nuovo altri fenomeni estetici.


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126

   





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