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      L'udimmo, in fatti, declamare: "Che cosa può significare questa tentata ribellione di schiavi alla mia signoria? E qual re vogliono mettere al mio posto, questi disgraziati che si sfamano coi resti dei miei banchetti, e quei piccoli ladri che mi rubano i frutti del mio giardino? Poi che non mi arrivano alle calcagne i furori di quelli, che, non essendo capaci di avermi per maestro, mi hanno per padrone, recando sulla fronte il mio marchio rosso, che cercano invano di graffiar via"38.
      Illusioni e verità, non per noi, per li altri. In fondo, egli definiva assai bene le diverse operazioni de' plagiari senza riconoscenza; se non che, bazzicando con quelli, veniva ad ignorare tutto quando non è suo meccanismo di conoscitor di lessici: l'essersi poi veduto circondato dai piccolissimi, i quali pendevano dalla sua bocca e lo coprivano di applauso, gli aveva dato una vampata alla testa e v'impazziva dietro, come quei rannocchi, che, col voler gonfiarsi, invidiando i buoi, terminano collo scoppiare. - Già; vi erano e vi sono masnade di indotti strimpellatori, di curvi raccoglitori d'immondizie, di presti cenciajuoli, che gli avevano concesso signoria, ma nessuna assemblea d'uomini liberi e deliberati fu che gli permise mai d'abusare colla sua jattanza, quand'anche lo pretendesse. Come fidare nella sua sincerità, dopo il rimutare inquieto di carattere, di vesti, di intenzioni? Come chiamarlo maestro? - E perché de' fischi plebei e di platea lo costrinsero a guardare in giù, ecco, ad assumere la posa serena dell'olimpico non compromesso, né sdegnato, ma annojato: "Ohi là, tacete un poco: lasciatemi digerire in pace!


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126