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      Nel quarto d'ora, che ha incominciato e vogliono chiamare col suo nome e già tramonta, quattro emasculati vanno coltivandolo, permettendogli la grave supposizione: quattro altri cialtroni disoccupati lo bombardano divo, rendendolo ridicolo e grottesco. Lo hanno fatto passeggiare, conducendolo a mano, per tutti li angiporti della suburra letteraria; gli hanno dedicato fervorini, trafiletti, colonne, articoli, pagine, giornali intieri, sì ch'egli fu dentro e fuori la patria a spampanare la sua verbosità. Ed un librajo si valse della ubriacatura; concorse a mescere vino avariato nelle tazze larghe e gratuite, per raggiungere un provento spiccio e sollecito di mercatanzia facilmente vendibile. - Ed ecco, ch'egli, vedendo come gli fosse tollerato tutto, si credè diritto la licenza di impartirci la sua disciplina, di bandire il suo magistero, di recitare la sua pragmatica, di sacrarsi ottimo e massimo: "Riconosco la verità e la purità della mia arte moderna, che cammina col suo passo inimitabile, colla movenza che è propria di lei sola, ma sempre sulla nostra via diritta, segnata dai monumenti dei poeti padri. Per ciò io mi considero maestro legittimo; e voglio essere e sono chi, per gli italiani, riassume, nella dottrina, le tradizioni e le aspirazioni del gran sangue ond'è nato".
      No; noi non riconosciamo nulla, non il coraggio della sua paura, non il successo che fu. Si è riserbato troppo, braccheggiò, in sulle prime, con malizia fanciullesca e selvaggia; ha permesso che tutti si sbizzarrissero sopra di lui; accettò qualunque designazione; non si lamentò mai del posto che gli assegnavano, purché fosse al di là. Non disse mai come pensava, non ci fece mai vedere come operava; fu chiuso; ci tenne chiusa la mecanica del suo pensiero, se una ne abbia; oggi la nostra mancanza di fiducia in lui, lo priva del nostro rispetto.


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126