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      Non può rigovernarci, imporci un suo metodo, se l'ha. I nostri maestri, i grandissimi, non sono più, ma sopravvivono forze eterne; ora, abbiamo una sola insegnatrice, la natura: un solo pedagogo, la nostra mente: un solo riconoscimento pubblico, la espressione dell'opera nostra. I nostri maestri non hanno avuto mai bisogno di pagliacciare ogni due giorni sulle piazze d'Italia, come vendessero specifici miracolosi contro la sifilide; noi non abbiamo bisogno di un zoofilo che fa dell'automobilismo, di chi assiste allo scoppio delle mine del marmo carrarese, e schiva di confessare la propria età.
      I nostri maestri non suscitarono la sfacciataggine della rinomea; non misero in pubblico le loro piccole orgie abitudinarie, le loro mecenatesse amiche, le loro illustri amanti generose, i loro disaccordi matrimoniali43; non ci condussero per mano i loro figli tra li istrioni; non diedero esempio di dissipata e vaneggiante curiosità: i nostri maestri lavorarono serenamente, pensarono, esempio di coraggio, di costanza, di volontà. Ma costui strepita e schiamazza; fa dire di aver creata una nuova poetica: piaggia vizi e virtù a fascio, se il vizio e la virtù gli han rifornito, nella questua pel mondo, sonante scarsella; i nostri maestri furono determinati per un verso, o per l'altro, perciò Eroi, sempre, in ogni modo, in ogni ora della vita loro; caratteri!
      Chi lo vuole, dunque, per maestro? Mettiamo all'incanto il maestro della poesia che insegna la necessità dell'eroismo, composta coll'arte demoniaca44 nel ditirambo delle origini e delle profondità? Chi dispone, nella gara, un obolo di più, ed ancora, per comperarsi, schiavetto, questo grande maestro immortale ed indiscutibile della moderna letteratura italiana?


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126

   





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