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      Allorché un'opera è stata lungamente meditata nella mia mente, siedo al tavolo, verso il tramonto, dopo un breve riposo, e lavoro tutta la notte, non interrompendomi che per un breve pasto, per qualche esercizio fisico o per sorbire un po' di caffè. Poi riprendo a scrivere nella calma notturna, fino all'aurora. E durante il giorno, dopo il riposo, lascio che il corpo viva tutto solo, abbandonato alla sua foga, alla sua violenza e soprattutto mi sforzo a non pensare all'opera che sto preparando, per lasciare il cervello in riposo e non ricevere ispirazione che dalla notte, quando gli dei discendono...
      Egli non s'arresta mai, non s'arresterà più; è il diluvio incondizionato di letteratura indo-europea; è il finimondo della lirica; è il perpetuo divenire hegeliano in visibilium; è la stessa Divinità; è la Demenza. Però che:
      Giunto al colmo degli anni, avendo già vissuto tante vite, io mi preparo tuttavia a novellamente vivere e a conoscere nuove deità, se la forza m'assista. Ogni notte sento con un brivido l'ora della rugiada, quando l'anima non è contaminata da alcuna grassezza di carne, come direbbe il Beato... - E so che ancora v'ha per me molte altre maniere d'esser compreso e incompreso, amato e abominato, glorificato e vituperato. E so che, d'origine libero, fattomi liberissimo, ho ancor da conquistarmi una più ardua libertà. E so che, sempre avendo più che arditamente operato, ancòra a più grandi ardiri ho da trascendere.
      Pietà, pietà di questa atroce fecondità!
      . Che è pur vero com'egli s'arresti davanti al 13: e questo è il paragrafo 13 di Briciole: sì che D'Annunzio lo deve scansare, girandogli attorno e maneggiando napoletanescamente il cornetto rosso e puntuto di corallo; mentr'io lombardamente gli auguro:


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126

   





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