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      Possedere significa essere sicuro della sincerità della persona che si concede; possedere è l'essere perfettamente nella ataraxia di una esistenza che non teme né sospetta mutamenti e bufere. La donna può essere sincera, e per di piú sincera nell'amore? Se l'amore non è sincerità, come lo si può concepire? Se tale sicurezza è la felicità e ci manca, come saremo felici? Nell'inganno forse: ed il risveglio? Questi i dubii erotici, la filosofia e le speculazioni meditative di Giorgio davanti alla Sfinge.
      Egli ama una vedova, giovane, bella; ma non la comprende: Fulvia. Con lei passeggia le deliziose ore dell'abbandono e dell'oblio in carrozzella per Roma; ed i baci sulle mani dell'amata, ed i baci sulla bocca! Perché Giorgio la guarda spesso nelli occhi? Che vuol leggere nella pupilla? Le palpebre calano sull'occhi, velano un lampo, nascondono un pensiero, che può essere una rivelazione. Marmorea, la donna impone forse che la si spezzi per concedere il secreto della nobile fattura, e, spezzata,... del marmo.
      Fulvia dice colla sua voce calda di donna passionale: «Io sarò, come lo sono, un tuo capriccio, un episodio nella tua vita d'amore. Io pure, forse, mi son data a te per provare che cosa fosse un amore fuori del matrimonio, per sapere che fosse un amante, che non si può, per le convenzioni, dichiarare apertamente in faccia al mondo. Non per questo ti amo meno. Godiamoci quest'ora di ebrezza». Giorgio risponde con un desiderio: «Io vorrei essere Faust e fermare il minuto fuggevole: ho paura della felicità di un istante; ho paura del poi dopo il bacio ed il riso».


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Scritti critici
di Gian Luigi Lucini
pagine 354

   





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