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      Si dica del mondo e della vita, soggettivamente; la conclusione sarà sempre una rivolta, un sacrificio od una ironia. E questa è arte.
      Gente di campagna, assai rozza ed antipatica, raccontata con una eccezionale e mal destra sincerità. Quando si hanno già di quelle epopee che si chiamano La Terre e di quelli affreschi grandiosi che sono Les Paysans, in cui è tutta l'indole avara, barbara, cupida, feroce ed astuta dei contadini, non ancora evolti alla coscienza di nobili lavoratori del suolo, di produttori sereni e calmi del pane, a che tormentare una povera letteratura, che non è piú arte, per ridire le georgiche e spesso stercorarie sequenze di questi bruti?
      Non ci interessano casi di un ubriacone innamorato di Virgilio, poeta dei campi, che, ogni due o tre pagine ci sfoggia nel latino, come hanno fatto il suo tempo li amori rusticani en plein air delle trapassate Terre vergini e novelle verghiane. Questo verismo non ha piú ragione di essere; perché si può bestemiare e parlare del sesso egregiamente e senza acconciarsi, or mai, alla bestemia specifica ed alla descrizione dell'atto fisico ed urtante.
      Per tentare questo genere di letteratura, che piaccia al gusto faisandé di estetica dell'intendimento moderno, al meno al mio (se non fa eccezione) conviene essere squisiti stilisti come il D'Annunzio, osservatori fini come il Verga, abbandonare il vecchio compasso della retorica cosí detta realista e foggiarci delle descrizioni, materiarci dei caratteri di universalità, far palpitare la terra ed umanarla, divinità pagana, essere dei panteisti e dei ribelli come Camillo Lemonnier e Giorgio Eekhoud.


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Scritti critici
di Gian Luigi Lucini
pagine 354

   





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