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      Riverente, entusiasta le si professò indiscusso e appassionato figliuolo.
      A seguirlo nel suo passaggio e nella sua permanenza a traverso le nostre città, invero alquanto fiacche e trasandate, sollevatesi a paragone dei confratelli di là delle Alpi, che lo producevano sull'altare della moda e della fama; il Mazzoni lo profila di sfuggita; il Panzacchi compila delle critiche curiose ma artificiali; la Serao lo camuffa languido patito di una bellezza inespugnabile, Matilde Dembowsky; il Martini lo sermoneggia sopra ai suoi casi d'amore, sprecata omelia per un morto filosofo della scuola di Du Tracy, voltairiano per giunta e psicologo di stati d'animo. Giulio Pisa vi spende alquante pagine superficiali, ma di buon gusto; il Barbiera non dice nulla di nuovo e si confonde volontieri; il d'Ancona, invece, come l'occasione si presta, non manca di rammentarlo e bene; l'ottimo Cameroni e l'amico Lumbroso sono dei ferventi e completi stendhaliani.
      Molti lettori dell'Italietta conosceranno li articoli che, sul nostro giornale, prima di venir travolto dalla bufera borbonica del '98, il Cameroni scriveva, facendoci conoscere e cercando di interessarci pel nostro concittadino illustre; poiché Stendhal adorò Milano e volle essere Milanese anche nell'epigrafe da lui stesso dettata, onde la si incidesse nel cippo funerale. Si deve alle pervicaci instanze del Cameroni, se, grettamente, li edili trapassati gli dedicarono, nella città, una via fuor di mano abbandonata tra i campi e le officine, normale a via Savona, oltre Porta Genova, chiamandola Stendhal.


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Scritti critici
di Gian Luigi Lucini
pagine 354

   





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