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      Rispose al mio intendimento, dopo la stasi dei Fior' Brumali, in cui lenti imputridivano il miasma di forzata etisia, la incombenza di una fatalità di razza, la mollezza sopra venuta nella fibra, per un coma morale, da cui non sapeva uscire, I Dialoghi d'Esteta.
      Qui, molte preziosità; qui, morbide dilettazioni, molte domande che lo facevano irresoluto. Ma il dubio del cercare, l'arrovellata febre del ubi consistam, la filosofica convinzione di riuscire al certo, si porgevano in forma assolutamente nuova, dissueta e complessa. Quaglino aveva assodata la sua originalità in un metro suo, in una acatalessi di rime aritmetiche e suonanti, in una logica di vesti, di ornamenti superficiali, che non opprimevano, non caricavano il pensiero, non l'involgevano di densità oziose, ma l'inguantavano come una maglia, e lo circonfondevano di veli, donde la sostanza viva, umana, risplendeva, come un bel corpo nudo esposto al sole. Certo, io vi trovai molta nostra filosofia, e, memore, fraternamente, me ne compiaccio.
      Dianzi, tolse una maschera al suo desiderio: pudico ed insieme audace, volle far confessione. L'animo suo, forse, sanguinava, mentr'egli lo metteva a scoperto con nessuna pietà per se stesso, ma con molto utile dei venienti. Per un amore di stranezze e di futilità, per un'acre soddisfazione di martirio, un suo protagonista soffre e s'indura di sofferenza, e pur sapendo non porta riparo all'angoscia. Egli è un veggente che si fa cieco ed incosciente davanti all'atto semplice e riparatore di tutta la sua vita; è un ottimista attratto al nihilismo morale; perché non ha piú la volontà di fare il gesto normale e santo della liberazione.


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Scritti critici
di Gian Luigi Lucini
pagine 354

   





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