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      Per quella signora trova l'invettiva salace e pornografica: «La Milesi è di quelle donne che dicono natura per non dire la natura, come men sucida parola di Dio»; e giú cadeva nello scurrile d'alcova, a proposito del Giunti, un toscano precettore de' suoi figli.
      Il cattolico Tommaseo ben pochi dunque risparmiava nelle lettere. Vanità, alterigia, acrimonia lo facevano tagliuzzatore della fama altrui.
      Salva i piú alti e viventi, coloro ai quali, per grazie, si strofina; incensa il Manzoni; si raccomanda al Vieusseux; carteggia col Lambruschini, si accosta al Capponi in volto umile e contrito, e sfoggia la sua anima generosa d'aspetto, gonfia, pettegola, sonora di vento e di albagia.
      Il Monti fra tanto lo va giudicando bene dalle sue rime giovanili:
      Che piú poveri versi non fariaTommaseo, Mangiagalli e compagnia.
      Anche il candidissimo Don Alessandro, una sera, per quanto solesse coprire eufemicamente il suo pensiero, in una confidenza di amici, non poté trattenersi dal dire: (e le parole per quanto inedite e riservate sono autentiche) «L'è ora de finilla con' sto Tomaseo: el ga un pee in sacristia e l'alter in casin».
      Perché se il Melibeo, volesse ricorrere ad un suo piccolo dossier secreto, dove si raccolgono le piccole vanità ed i grandi vizii degli illustri, potrebbe commentarvi degnamente le parole manzoniane; riportandovi alcuni salaci episodii, che le trecche e le mammane di Torino e di Firenze forse hanno lasciato in tradizione, ed in cui le psicopatie sessuali descritte da Krafft-Ebing hanno buon giuoco a dimostrare una perversità: - forse non estranea la prima educazione del convento.


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Scritti critici
di Gian Luigi Lucini
pagine 354

   





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