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      Istoriografo artista, scrittore di critiche, in cui il pretesto del criticare gli serviva per esporre le avventure del suo animo a traverso i capolavori, esumatore di una decadenza alessandrina piena di fascini e di grazie sfiorenti ed ancora in bocciolo; erudito, perché delicato, ed emotivo senza spegnere gli ardori dell'intelligenza e senza metallizzare il sentimento, ascese tra l'indifferenza, la battaglia, l'applauso all'Accademia di Francia. Di là, socialista, e nel medesimo tempo individualista dopo di essersi mostrato un aristocratico dell'intelligenza, non gli ripugna di scendere, conoscere e confondersi nelle masse popolari; ne ama il contatto, cerca di disciplinarne le forze non ancora spiegate e coscienti, ma cosí presto deviate. Non disdegna il discorso breve, piano, consigliatore in pubblico, inaugura Università popolari, mescolandosi colle casacche operaie e colle berrette dei sobborghi. Gli stanno vicino Jean Grave, il refrattario sociologo, e Laurent Tailhade, il poeta classico ed anarchico; le palme d'oro e verdi del suo abito di parata sono cosí ottimamente condecorate.
      Letterato per filosofia disceso da Renan, delicato e perverso, ironico e sentimentale, credulo all'apparenza, ma scettico, pieno di grazia e di elasticità, riflette la realtà a traverso il suo temperamento già preparato ed adatto dalla scienza, dalla antiquaria, dalle impressioni anteriori, dalle meditazioni sollecitate.
      Stilista senza pari, Ferdinando Gregh dice di lui: «Spero che daranno a tradurre ai fanciulli, qualora il francese divenga una lingua morta, dei frammenti di Anatole France, come ora, ad esempio, traduciamo nei Ginnasii Il sogno od il Gallo di Luciano di Samosata». Che del resto è della medesima famiglia, né i tempi comportano, a chi ben li comprenda, diversamente: osservate Alessandria al secondo secolo e Parigi all'inizio del 1900; sapetene la storia, la cronaca; conoscetene il costume, se non per vostra osservazione per aiuto di Pierre Louys e di André Lebey, giudicate infine.


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Scritti critici
di Gian Luigi Lucini
pagine 354

   





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