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      Avvalorati dal nome del Cancelliere di Ferro, tutti li altri piccoli segretari della comodità borghese, si curvavano a compitare, sudando, sulle nostre pagine, come stessero combinando li intrichi dei rebus o dei logogrifi, per estrarne una possibile soluzione; pencolavano, indecisi esegetici, sul dubio delle frasi mentre erano chiarissime, ed avrebbero risposto bene a conoscenza di storia, a sveglia e rispondente comparazione analogica, a piú sottile sensibilità esercitata. Dimenticavano troppo spesso di commentare lo scritto coll'azione diretta della vita dell'autore e commettevano l'antico errore di considerare il volume un qualche cosa di separato e di indipendente, una categoria a sé, senza legami con quanto lo circonda, con chi lo ha composto. Non pareva vero che si dovesse gettar tempo per applicarsi a bazzecole di tale fatta, quando avevamo la lingua comune del pizzicagnolo, della guardia di città, del prefetto, del facchino del porto, del curato di campagna, del becero, della trecca, delle quinte e della caserma; quando la letteratura a machina ed a stampa contemporanea ci dava tutti li esempi facili di tutti i generi. Pochissimi ammettevano che era obbligo nostro produrre qualche cosa di piú solido e di piú prezioso, e che la nostra ripugnanza ad ammettere i faciloni, i prodotti inferiori, le operette dei superficiali, dei frettolosi, delli incompetenti era un doveroso rispetto verso noi stessi, ed una manifesta riverenza verso l'arte, serbata alla sua nobile integrità.


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Scritti critici
di Gian Luigi Lucini
pagine 354

   





Cancelliere Ferro