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      Alfredo Oriani passò tutta la sua vita rifiutato e rifiutando: l'ultima sua arme e la prima fu il: No. Egli, che sentivasi inchinato, per attitudini, eloquenza, prestanza, bel porgere ad una delle prime parti in politica, non trovò mezzo di accondiscendere ai partiti. Interrogato a qual posto avrebbe seduto alla Camera, caso mai ve lo si inviasse, rispose: «Al mio!». Non diversamente il Guerrazzi, a cui l'arte e l'impeto nero lo apparentavano, ed, ultimamente non piú, le finalità repubblicane.
      Per ciò, sú, a Casola Valsenio, si amareggiava, giorno per giorno, catastroficamente apocalittico: «Vi mando un saluto da quassú», mi scriveva il Donati: «dove mi trovo, dopo un paio di giorni passati dall'apocalittico, catastrofico Oriani. Beato voi, che, almeno, avete la filosofia della giovialità!». - E, se, un giorno tra gli altri, egli gli vuol parlare di matrimonio, di famiglia, di amore: «Oriani, nemicissimo delle donne, non approva le mie nozze, sentenziando che la primavera non si accorda coll'autunno; cadendo, lui idealista, nella contradizione di subordinare l'amore soltanto alla fisiologia».
      Amore? Non se ne doveva far cenno con Oriani. Non per nulla aveva incominciato colla patologia di un amore, non per nulla si era fatto il Solitario di Casola, colla feroce insistenza di un drama intimo nella memoria, coll'amarezza delle disillusioni, colla impotenza alla necessaria vendicazione. - Era pur cresciuto in quelli anni, in cui le virtú feminili ed i vizii valevano poco; in cui era stato lecito a Carlo Dossi di scrivere: La Desinenza in A, al grottesco Imbriani: Dio ci salvi dagli Orsenigo; a Paolo Valera: Amori bestiali; a D'Annunzio: Il libro delle vergini; a Cesare Tronconi: Le commedie di Venere.


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Scritti critici
di Gian Luigi Lucini
pagine 354

   





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