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      Povere, piccole Ninon, e piú ritinte Lepanto rosseggianti, che il poeta ama far soffrire:
      ….. Che mai t'ho fatto,
      o Guido, per farmi cosí!
      sorridente demi-mondaine, che lo aveva interrogato quattrenne dal cancello di una villa prossima alla suaPiccolino, che fai solo soletto?
      per sentirsi rispondere:
      Sto giuocando al Diluvio Universale!
      Non all'incondizionato diluvio universale di Ibsen; quello che non avrebbe neppur risparmiato l'arca di Noè, ma ad un pasticcio di rena e d'acqua sul vialetto borghese.
      Povera non dimenticata venditrice di carezze,
      Tra le gioie defunte, i disinganni,
      dopo vent'anni,
      quando il bimbo invecchiato, perché pur credendo a tutto non crede piú a cosa alcuna, tornava a desiderarla:
      Vieni! Che importa se non sei piú quellache mi baciò quattrenne? Oggi, t'agogno,
      o vestita di tempo! Oggi, ho bisognodel tuo passato! Ti rifarò bella
      come Carlotta, come Graziella
      come tutte le donne del mio sogno.
      E non vogliate destarlo, però che egli incontra e glipiace l'agile fantesca,
      l'afferra e la vuole:
      Ella l'irride, si dibatte, implorainvoca il nome della sua padrona:
      Ah che vergogna! Povera Signora!
      Ah, povera Signora; e s'abbandona;
      sostituitalesi al sodo - amore d'ancella! - E non vogliate destarlo; perché s'incontra e non suade alle tenerezze della signorina Felicita schivando al bivio, la felicità; perché il Very ed il Café de Paris sono lo Stoker della Galleria milanese e l'Aragno del Corso romano; perché il Faubourg si riduce ad essere il cenacolo chiuso e postillato dal protocollo aristocratico e letterario, secreto come un gabinetto anatomico; e, qualche volta le ragunate, tra li specchi verde-Nilo e li ori stinti, le tappezzerie verd'azzurre e le garze électricques a fasciar il lampadario, nel boudoir della bas-bleu d'alto conto e conio, assunta alla catedra pontificale, nel quarto d'era della sua maggior generosità, nel minuto psicologico della sua piú schiumante larghezza.


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Scritti critici
di Gian Luigi Lucini
pagine 354

   





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