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      A questa versione si addirebbero meglio le lodi che Giuseppe Maria Quirini gli dava pel Lucrezio. "In somma, il Marchetti, egli scriveva, maneggia il poema della Natura delle cose, come se fosse un argomento amoroso, ricolmandolo per ogni dove di tutte le delizie dello stile, di tutti i vezzi della poesia, finalmente di tutte le lascivie del parlar toscano." Il che in parte è vero e l'incanto si ravvalora per le reminiscenze dei nostri poeti classici, che a quando a quando, come quel purpureo nastro dell'Ariosto, partono la tela d'argento dell'industre testore.
      G. B. Clemente Nelli, l'erede delle ire di Vincenzo Viviani contro il Marchetti dice: "Non molta pompa crederei doversi fare di questa benchè per altro bella traduzione, ed in ottimo genere di verso sciolto condotta... poichè oltre l'essere stata criticata dal Lazzarini come mal tradotta, è stata censurata dalla Sacra Congregazione e reputata opera perniziosa al Cristianesimo per le male conseguenze ed effetti da essa prodotti....
      L'Emin. Cantelmo, arcivescovo di Napoli, per essersi scoperto nella predetta città che Gio. Andrea de Magistris e Carlo Rosito speziale di medicina insegnavano l'ateismo, prima della pubblica e solenne abiura degli errori da costoro professati, fece nella sua Chiesa cattedrale il dì 15 Febbraio 1693 un sermone, in cui tra le altre cose disse:.... ora si rendono palesi quelle mani sacrileghe, le quali con irritare l'indignazione divina hanno posto fuoco alle mine de' terremoti scoppiati pochi giorni sono con tanto spavento ed hanno più recentemente provocato il flagello della peste estinto miracolosamente per esser prevaluto il merito de' buoni alla malizia de' cattivi.


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





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