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      Cose produsse scelerate ed empie.
      Questa il fior degli eroi scelti per duciDell'oste argiva in Aulide indusse
      Di Dïana a macchiar l'ara innocenteCol sangue d'Ifigènia; allor che, cinto
      Di bianca fascia il bel virgineo crine,
      Vid'ella a sè davanti in mesto voltoIl padre, e a lui vicini i sacerdoti
      Celar l'aspra bipenne, e 'l popol tuttoStillar per gli occhi in larga vena il pianto
      Sol per pietà di lei che muta e mestaTeneva a terra le ginocchia inchine.
      Nè giovò punto all'innocente e castaPovera verginella in tempo tale
      Ch'a nome della patria il prence avesseAll'esercito greco un re donato:
      Chè tolta dalle man del suo consorteFu condotta all'altar tutta tremante;
      Non perchè, terminato il sacrifizio,
      Legata fosse col soave nodoD'un illustre imeneo; ma per cadere
      Nel tempo stesso delle proprie nozzeA' piè del genitore, ostia dolente
      Per dar felice e fortunato eventoAll'armata navale. Error sì grave
      Persüader la religion poteo.
      Tu stesso, dall'orribili minacceDe' poeti atterrito, ai detti nostri
      Di negar tenterai la fè dovuta.
      Ed oh quanti potrei fingerti anch'ioSogni e chimere, a sovvertir bastanti
      Del viver tuo la pace e col timoreIl sereno turbar della tua mente.
      Ed a ragion, che se prescritto il fineVedesse l'uomo alle miserie sue,
      Ben resister potrebbe alle minacceDelle religïoni e de' poeti:
      Ma come mai resister può, s'ei temeDopo la morte aspri tormenti eterni,
      Perchè dell'alma è a lui l'essenza ignota?
      S'ella sia nata od a chi nasce infusa,
      E se morendo il corpo anch'ella muoia?
      Se le tenebre dense e se le vaste


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





Aulide Dïana Ifigènia