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      Paludi vegga del tremendo inferno,
      O s'entri ad informare altri animaliPer divino voler? Siccome il nostro
      Ennio cantò, che pria d'ogn'altro colseIn riva d'Elicona eterni allori,
      Onde intrecciossi una ghirlanda al crineFra l'italiche genti illustre e chiara.
      Bench'ei ne' dotti versi affermi ancoraChe sulle sponde d'Acheronte s'erge
      Un tempio sacro agl'infernali dèi,
      Ove non l'alme o i corpi nostri stannoMa certi simulacri in ammirande
      Guise pallidi in volto; e quivi narraD'aver visto l'immagine d'Omero
      piangere amaramente e di naturaRaccontargli i segreti e le cagioni.
      Dunque non pur de' più sublimi effettiCercar le cause e dichiarar conviensi
      Della luna e del sole i movimenti,
      Ma come possan generarsi in terraTutte le cose, e con ragion sagace
      Principalmente investigar dell'almaE dell'animo uman l'occulta essenza,
      E ciò che sia quel che, vegliando infermiE sepolti nel sonno, in guisa n'empie
      D'alto terror, che di veder presenteParne e d'udir chi già per morte in nude
      Ossa è converso e poca terra asconde.
      E so ben io qual malagevol opraSia l'illustrar de' Greci in tóschi carmi
      L'oscure invenzïoni; e quanto spessoNuove parole converrammi usare,
      Non per la povertà della mia linguaCh'alla greca non cede e più d'ogn'altra
      Piena è di proprie e di leggiadre voci.
      Ma per la novità di quei concettiCh'esprimer tento e che null'altro espresse.
      Pur nondimen la tua virtude è taleE lo sperato mio dolce conforto
      Della nostr'amistà, ch'ognor mi spronaA soffrir volentieri ogni fatica
      E m'induce a vegliar le notti intere,


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





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