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      Accidente chiamar, come conviensi.
      Il tempo ancor non è per sè in natura:
      Ma dalle sole cose il senso cavaIl passato il presente ed il futuro;
      Nè può capirsi separato il tempoDal moto delle cose e dalla quiete.
      Nè dica alcun che la tindarea proleDa Paride rubata al duce argivo
      E 'l superbo Ilïone arso e consuntoForse parrà ch'a confessar ne sforzi
      Che tai cose per sè fossero al mondo;
      Mentre l'età trascorsa irrevocabileI secoli di quelli omai n'ha tolto,
      Che ad eventi sì rei furon soggetti.
      Poichè, di ciò che fassi, altro può dirsiDe' paesi accidente, altro de' corpi
      Chè, se stato non fosse il seme e 'l luogoOnde si forma e dove ha vita il tutto,
      Non avrebbe giammai d'amore il focoPer la rara beltà d'Elena acceso
      Nel frigio petto suscitar potutoIl chiaro incendio di sì cruda guerra,
      Nè il gran destrier del traditor Sinone
      Col notturno suo parto avrìa distruttoDella nobil città le mura eccelse.
      Onde conoscer puoi che l'opre altruiNon son per sè conforme il corpo e 'l vôto,
      Ma più tosto a ragion debbon chiamarsiO de' corpi accidenti o de' paesi.
      Sappi poi che de' corpi altri son primi,
      Altri si fan per l'unïon di questi.
      Ma quei che primi son da forza alcunaDissipar non si ponno: ogni grand'urto
      Frena la lor sodezza, ancor che paiaDuro a creder che nulla al mondo possa
      Trovarsi mai d'impenetrabil corpo.
      Passa il fulmin celeste, allor che Giove
      Ver noi l'avventa, entro le chiuse mura,
      Com'i gridi e le voci: il ferro stessoS'arroventa nel fuoco: entro il crudele
      Bollor fervidi al fin spezzansi i sassi:
      Un soverchio calor l'oro dissolve:


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





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