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      Si dilegua da te, se d'oro e d'ostroE d'arazzi superbi orni il tuo letto,
      Che se in veste plebea le membra involgi.
      Onde, poscia che nulla al corpo giovaOnor ricchezza nobiltade o regno,
      Creder anco si dee che nulla importiIl rimanente all'animo: se forse,
      Qualor di guerra in simolacro armateMiri le squadre tue, non fugge allora
      Ogni religïon dalla tua menteDa tal vista atterrita, e non ti lascia
      Il petto allora il rio timor di morteLibero e sciolto e d'ogni cura scarco.
      Che se tai cose esser veggiam di risoDegne e di scherno, e che i pensier noiosi
      Degli uomini seguaci e le paurePallide e macilenti il suon dell'armi
      Temer non sanno e delle frecce il rombo;
      Se fra' regi e potenti han sempre albergoAudacemente, e non apprezzan punto
      Nč dell'oro il fulgor nč delle vestiDi porpora imbevute i chiari lampi;
      Qual dubbio avrai che tutto questo avvengaSol per mancanza di ragione, essendo
      Massime tutto quanto il viver nostroNell'ombra involto di profonda notte?
      Poichč, siccome i fanciulletti al buioTemon fantasmi insussistenti e larve,
      Sė noi tal volta paventiamo al soleCose che nulla pių son da temersi
      Di quelle che future i fanciullettiSoglion fingersi al buio e spaventarsi.
      Or sė vano terror sė cieche tenebreSchiarir bisogna e via cacciar dall'animo,
      Non co' be' rai del sol, non giā co' lucidiDardi del giorno a saettar poc'abili
      Fuor che l'ombre notturne e i sogni pallidi,
      Ma col mirar della natura e intendereL'occulte cause e la velata imagine.
      Su dunque: io prendo a raccontarti, o Memmo,
      Come della materia i primi corpi


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





Memmo