Pagina (100/330)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Or di sè stesso, di sè stesso ancoraGenerolli a principio. Egli a' mortali
      Fu bastante a produrre il grano e l'uva;
      Egli i frutti soavi, egli i fecondiPaschi ne diè, ch'in questa etade a pena
      Con fatica e travaglio aver si ponno.
      E; benchè noi degli aratori armentiSnerviam le forze, e le robuste braccia
      Affatichiam de' contadini industri,
      E ferree zappe e vomeri e bidentiLogoriam per la terra; ella ne porge
      A pena il cibo necessario al vitto:
      Talmente il suolo a poco a poco scemaDi frutto e sempre le fatiche accresce.
      E già l'afflitto agricoltor sospiraD'aver più volte consumati indarno
      I suoi gravi travagli; e, quando insiemeI secoli trascorsi e l'età nostra
      Piglia a paragonar, loda soventeLe fortune del padre; e s'ange e duole
      Che gli uomini primieri agevolmenteFra gli stretti confini, allor che molto
      La misura de' campi era minore,
      Vivesser la lor vita; e non sovviengliCh'a poco a poco s'infiacchisce il tutto
      E stanco al fin per la soverchia etadeVa di morte allo scoglio e vi si spezza.
     
      LIBRO TERZO
     
      Argomento.
     
      Questo libro non tratta d'altro che dell'anima umana; era l'obbietto essenziale della filosofia di Epicuro; è quello altresì in cui pare che Lucrezio appunti tutti i suoi sforzi. Dopo una specie d'invocazione a Epicuro, come al genio della filosofia, il cui aiuto gli è specialmente necessario in questa parte del suo poema, dimostra l'importanza del subbietto che prende a trattare, inquantochè l'ignoranza degli uomini rispetto alla natura della loro anima, è causa di quel loro timore della morte che al poeta pare l'unico fonte di tutti i mali e di tutti i delitti.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





Epicuro Lucrezio Epicuro