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      Mestiero è che ciò segua, allor che avraiCompito affatto di tua vita il corso.
      Dunque non men di te caddero innanziTai cose, e caderanno. In cotal guisa
      Di nascer l'un dall'altro unqua non resta;
      Nè fu dalla natura il viver datoA nessuno in mancipio, a tutti in uso.
      Pon mente, in oltre, come, pria ch'al mondoFossimo generati, alcun trascorso
      Secolo antico dell'eterno tempoA noi nulla appartenne. Or questo adunque
      Specchio natura innanzi agli occhi nostriPose, acciò quivi un simolacro vero
      Rimiriam dell'età che finalmenteDee seguir dopo morte. Ivi apparisce
      Nulla forse o d'orribile o di mesto?
      Forse non d'ogni sonno alto e profondo
      È piu sicuro il tutto? In vita in vitaSi patisce da noi ciascun tormento,
      Che l'alme crucïar nel basso infernoCredon gli sciocchi. Tantalo infelice
      Non teme il grave ed imminente sasso,
      Come fama di lui parla e ragiona:
      Ma ben sono i mortali in vita oppressiDal timor degli dèi cieco e bugiardo,
      E paventan ognor quella cadutaChe la sorte gli appresta. Erra chi pensa
      Che Tizio giaccia in Acheronte e semprePasca del proprio cor l'augel vorace:
      Nè, per cercar lo smisurato pettoCon somma diligenza, unqua potrebbe
      L'avoltoio trovar cibo che fosseBastante a sazïar l'avido rostro
      Eternamente: e, sia quantunque immaneTizio, e non pur con le distese membra
      Occupi nove iugeri, ma tuttoIl grand'orbe terreno, ei non per tanto
      Non potrà sofferir perpetua dogliaNè porger del suo corpo eterno pasto.
      Ma Tizio è quei che, dal rapace artiglioD'amor ghermito, è lacerato e roso
      Dal crudo rostro d'ansïosa angoscia;


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





Tizio Acheronte Tizio