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      Sicilia de' tiranni antico nido;
      I quai, ben che dal corpo assai lontaniForse ne sian, pur di temer non resta
      L'animo consapevole a sè stessoDe' malvagi suoi fatti; e 'l core e l'alma
      Sì ne sferza e ne stimola e n'affligge,
      Che nell'esser crudel Falari avanza;
      Nè sa veder qual d'ogni male il fineSarebbe e d'ogni pena, anzi paventa
      Che vie più dopo morte aspre e noioseNon sian le sue miserie. Or quindi fassi
      La vita degli sciocchi un vivo inferno.
      Tal volta ancor puoi fra te stesso dire
      - Vide pur Anco Marzio eterna notte,
      Che di te, scellerato, assai miglioreEra per molte cause, e tanto avea
      Dilatati i confini al patrio regno.
      Anzi a molt'altri re, duci e signoriE capi di gran popolo convenne
      Pur morir finalmente. E quello stessoChe del vasto oceàn sul molle dorso
      Vie lastricando passeggiò per l'altoCon le sue legïoni, e sovra l'onde
      Delle salse lagune a piede asciuttoInsegnò cavalcare, e pria d'ogni altro
      Spezzò del mare il murmure tremendo,
      Perduto il vital giorno, al fin disperseL'anima fuor del moribondo corpo.
      Polve è già Scipïone, alto spaventoD'Africa e chiaro fulmine di guerra,
      Non altrimenti ch'un vil servo fosse.
      Aggiungi poi delle dottrine i primiInventori e dell'arti e delle grazie:
      Aggiungi delle nove alme sorelleI divini compagni. Un sol Omero
      Fu principe di tutti, e pur si giaceSopito anch'ei nella medesma quiete
      Che si giacciono gli altri. Al fin Democrito,
      Poi ch'imparò dalla vecchiezza estremaChe già languian della sua mente i moti,
      Corse incontro alla morte e 'l proprio capoVolontario le offerse.


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





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