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      Ferma si sta, benchč non sia d'un ditoPunto pių alta, nondimeno agli occhi
      Lascia tanto abbassar sotterra il guardo,
      Quanto l'ampie del ciel fauci profondeS'apron lungi da noi, sė che le nubi
      Veder ti sembra e l'auree stelle e 'l soleSplender sotterra in quel mirabil cielo
      Tosto, al fin, che si ferma in mezzo al fiumeIl veloce cavallo e che si affissano
      Gli occhi nell'onde rapide e tranquille,
      Parne che 'l corpo suo quantunque immotoSia portato a traverso, e che la propria
      Forza il fiume al contrario urti e respinga,
      E, dovunque da noi l'occhio si volga,
      Girne sembra ogni cosa ed a secondaNotar dell'acque. E finalmente i portici,
      Ben che sian d'egual tratto e da colonneNon mai fra lor dispāri abbian sostegno,
      Pur nondimen, se dalla somma all'imaParte son riguardati, a poco a poco
      Stringer mostran sč stessi in cono angusto,
      Pių e pių sempre avvicinando il destroMuro al sinistro e 'l pavimento al tetto
      Sin che di cono in un oscuro acumeVadano a terminar. Sorto dall'acque
      Ai naviganti 'l sol par che nell'acqueAnco s'attuffi e vi nasconda il lume:
      Ma quivi altro mirar che cielo e mareNon puossi. E crederai sė di leggiero
      Che sian offesi d'ogn'intorno i sensi?
      Zoppe, in oltre, nel porto agl'imperitiEsser paion le navi e con infranti
      Arredi premer di Nettuno il dorso;
      Poichč quel che de' remi e del governoSovrasta al salso flutto e fuor n'emerge
      Dritto senz'alcun dubbio agli occhi appare,
      Ma non fanno cosė l'altre lor partiRicoperte dall'onde, anzi rifratte
      Mostran voltarsi e ritornar supineVerso il margine estremo e ripercosse


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





Nettuno