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      Fischian le scosse fronde e d'ogn'intornoTronchi orrendo fragor spargono i rami,
      Tal del vento gagliardo anco alle volteL'incitato vigor spezza e 'n più parti
      Col retto impeto suo squarcia le nubi:
      Poichè, qual forza ei v'abbia, aperto il mostraQui per sè stesso in terra, ove più dolce
      Spira e pur non per tanto in fin dall'imeBarbe i robusti cerri abbatte e schianta
      Son per le nubi ancor flutti, che fannoGravemente frangendo un quasi roco
      Murmure, qual sovente anco negli altiFiumi e nell'alto mar che vada o torni
      Soglion l'onde produr rotte e spumanti.
      Esser puote eziandio, che, se vibratoD'una nube in un'altra il fulmin piomba,
      Questa, se con molt'acqua il fuoco beve,
      Tosto con alte grida il mondo assordi;
      Qual, se tal or dalla fucina ardenteSommerso in fretta è l'infocato acciaio
      Nella gelida pila, entro vi stride.
      Chè se un'arida nube in sè riceveLa fiamma, in un momento accesa ed arsa
      Con smisurato suon folgora intorno;
      Qual se pe' monti d'apollinei alloriCriniti il foco scorra e con grand'impeto
      Gli arda cacciato dal soffiar de' venti;
      Chè nulla è ch'abbruciando in sì tremendoSuon tra le fiamme strepitando scoppi
      Quanto i delfici lauri a Febo sacri.
      Al fin: d'acerba grandine e di geloUn fragor vïolento un precipizio
      Spesso nell'alte nubi alto rimbomba;
      Che, allor che 'l vento gli condensa e gli empie,
      Frangonsi in luogo angusto eccelsi montiDi grandinosi nembi in gelo accolti.
      Folgora similmente, allor che scossiVengon dagli urti dell'avverse nubi
      Molti semi di foco; in quella guisaChe, se pietra è da pietra o da temprato


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





Febo