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      Fino al cominciare di questo secolo non si conosceva come Lucrezio avesse tradotto Epicuro, o almeno mancava il modo di comparare la traduzione con l'originale. Le notizie del filosofo greco non si potevan trarre che da Lucrezio, da Diogene Laerzio, il quale riferì soprattutto compiacentemente la vita e le massime morali di quel saggio, e da Cicerone, al quale non si può credere a chius'occhi, perchè si reca a debito di screditare e punzecchiar d'epigrammi la dottrina della voluttà. Ma tutte queste notizie sparse non mostravano come Lucrezio avesse reso il pensiero del maestro, in che avesse rimutato la dottrina di lui, nè per quali studj l'avesse adattata al genio della lingua latina e alle richieste della poesia. Questo giudizio potè meglio farsi quando nel 1809, si scoperse, negli scavi d'Ercolano, un libro d'Epicuro sulla Fisica, del quale si lessero e decifrarono parecchi frammenti. Pertanto noi possiamo studiare da noi stessi e vedere coi nostri occhi la fedeltà dell'interprete. Le idee contenute in quasi tutti questi frammenti si ritrovano qua e là nel Poema della Natura e talvolta nello stesso ordine. È il vero che i versi del poeta non sono sempre una semplice traduzione. Epicuro, come ognun sa, è arido e breve, abborre da tutti i lenocinj del dire e così per lo stile come per la regola della vita, estimava che la perfezione consistesse nell'astinenza. Di chè Lucrezio è costretto a non dare tale e quale la parola del maestro; egli s'attiene scrupolosamente al suo pensiero, ma lo allunga, lo parafrasa per renderlo intelligibile.


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





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