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      Gli epicurei, come il loro maestro, facevano professione di spregiare le matematiche. Secondo loro, v'ha una. sola scienza, quella della felicità. E che! dicevano. Perderemo noi il tempo, come Platone, nella geometria, nei numeri e nello studio degli astri, quando sappiamo che queste scienze sono fondate sopra falsi principj: falsis initiis profecta vera esse non possunt. E seppure ci conducessero al vero non ci condurrebbero al sommo bene. Ridevano dei matematici, i quali forse non sanno "quanti stadj v'ha da Atene a Megara, ma che sanno puntualmente a quanti cubiti ascende lo spazio che separa la luna dal sole, che delineano triangoli sopra dei quadrati con non so quante sfere e misurano lo stesso cielo." Di che non ci fa meraviglia che Balbo abbia detto che Epicuro non sapeva "quanto fa due e due" che i suoi discepoli non avevano mai delineato una figura sulla dotta polvere dei geometri." Gli epicurei parlavano delle scienze esatte con aperto disprezzo, tanto più inconcepibile, in quanto essi medesimi fondavano tutto il loro sistema sulla scienza fisica. Non dimentichiamo un fatto curioso: un giorno, un gran matematico, Polieno, essendosi convertito alla dottrina di Epicuro, dichiarò subito che tutta la geometria è falsa: magnus rnathematicus, Epicureo assentiens, totam geometriam falsam essa credidit24. Non è giusto pertanto, come noi abbiamo fatto altrove, di paragonare la scuola Epicurea ad un convento?
      Traviato da questa noncuranza di Epicuro, sì poco tenero delle scoperte della scienza, Lucrezio rasenta talora le più belle verità senza fermarvisi, o vi si ferma solo per combatterle.


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Della natura delle cose
di Tito Lucrezio Caro
Casa Editrice Sonzogno Milano
1909 pagine 330

   





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