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      Ma qui mi sovviene quello ch'io ho letto presso un buono scrittore francese. Questi, avendo detto quel che di sopra ho io riferito, cioè che ai romani ed ai greci altresì piacque l'occhio nero, soggiunge poi, che egli non può non meravigliarsi come stia questo, che francesi e germani amino di vedere nelle loro donzelle l'occhio sereno, e, com'io credo, di zaffiro, poichè tutti i ritratti che mi sono venuti agli occhi dalle parti della Magna recati, hanno si fatti lumi in sè dipinti. Di questi occhi ne veggo fatta menzione dal Petrarca in quella canzone Tacer non posso. Ma stia ognuno nel suo parere; a me piacciono gli occhi neri.
      Ahi, diss'io allora rivolto al signor Ladislao, come potrà mai la mia dolcissima Toronda, perfettissima opera di Natura, in questi occhi neri, avendogli ella zaffirini, assomigliarsi alla donna? Ma consolato per essere ancora questi begli occhi e famosi assai, come pure conferma nella sua lettura il Ruscelli, terrò che dalla bellezza e perfezione di lei prendano denominazione di bellissimi e perfettissimi non men questi che gli altri da voi descritti; e così il signor Vinciguerra riprese il parlar suo.
      Vorrei poscia, soggiunse, che fossero non vaghi no, ma parchi a muovere e pietosi in riguardare, il che in quei d'Alcina ci dipinge l'Ariosto, e invero pur troppo bene, perchè un occhio, nel quale suole abitar l'animo e vedersi chiaro s'egli è incostante e mobile scopre poco cervello, come allo incontro molto quando però alle volte si gira e ruota dolcemente intorno e con quella pietà che si conviene alle belle vergini, alle quali se bella faccia e il tutto bello ha conceduto Natura, non però vuole ch'elleno abbiano petto ferrigno e cuore di diamante verso coloro, i quali l'hanno invece di Sole alla lor vita dolcissimo e chiarissimo.


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Il libro della bella donna
di Federico Luigini da Udine
L'Aristocratica Editrice Milano
1925 pagine 114

   





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