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      Vo' che stampi proprio con la vaghezza sua e sua somma beltà un giardinetto, quale agli occhi nostri, ove la dolce, candida e vermiglia primavera a noi ritorna, e si sente per le campagne l'usignolo dell'antico infortunio lamentarsi, è dato talora di potere rimirare, e così rimirando godere in tanto che i nostri spiriti grandissima ricreazione ne prendono. Questo non dispiacque di dire all'Ariosto in lode di quello della bella Angelica, ch'egli si assomigliava pure ad un giardino vago e fiorito, ove ciò che vi è dentro noi veggiamo partorire in noi non so che, che ci tira e alletta a vagheggiare solamente lui, e solamente lui avere in bocca, e di lui solamente parlare. Vo' che si giudichi e creda da ognuno ivi la grazia essere nata, ivi cresciuta ed allevata, e ivi felicissimamente starsi e godersi. Alle altre parti deretane è tempo da ritirarsi, le quali nè ampie nè picciole m'han da piacere, ma partecipanti tanto dell'uno quanto dell'altro, che in vero egualmente reca ad una donna disgrazia, e le disdice quando ella si mostra o troppo gonfia e naticuta, o troppo scema e quasi senza natiche. Orazio può avere l'uno e l'altro nella seconda satira accennato in una parola, ma oggi il volgo solo il vuole ben naticuto, e quinci è, come dice il Boccaccio nel suo Laberinto d'amore, che quella vedova, di cui abbiamo di sopra fatta menzione, delle due cose che studiava di far che in lei fossero pienamente vedute, questa era l'una che voleva che si vedesse in sè, cioè le natiche ben sospinte in fuori, così giudicando non poca parte di bellezza ad una donna aggiungersi.


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Il libro della bella donna
di Federico Luigini da Udine
L'Aristocratica Editrice Milano
1925 pagine 114

   





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