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      Vedete il sonetto, Amor e io sì pien di meraviglia. Per li quali tutti luoghi vedendosi apertissimamente che alla giovinezza, e massime a quella delle belle donne si conviene l'andar adorna il capo di fiori, e così dipingerlo, come talvolta d'occhi veggiamo la coda del pavone dipinta, io non mi meraviglio se la dea delle belle bellezze Venere e il suo fanciullino, andando un giorno per diportarsi in certe campagne fiorite, come si legge, isfidaronsi l'un l'altro a corre fioretti e rose a gara.
      Io non mi meraviglio se la medesima Venere (come Libanio Sofista greco presso al Poliziano è buon testimonio) volle, avendo a contendere della bellezza con Pallade e con Giunone sotto il giudicio di Paride, ornare di rose bene olenti, e colorire le tempie e l'auricome capo suo intorno intorno. Io non mi meraviglio se Catullo e l'Ariosto dissero che le innamorate giovani e vaghi garzoni le amano, e massime tolte di su la spina allora allora. Queste rose e fiori e viole, oltre che fanno coloro che l'hanno più riguardevoli (come appare per l'esempio di sopra addutto di Venere, che se ne volse adornare l'aurea sua testa) ricreano gli spiriti ancora, e gli vengono a confortare non poco, come si vede tuttodì. E se il signor Pietro, volgendosi a noi l'eccellente Dottore, poi non vorrà, disse, che per ornamento questa donna, come lei, che poco ne abbia bisogno, rechi in testa o nel candido seno queste rose, fate voi ch'egli si contenti almeno ch'ella per ciò le abbia seco e ne le porti, che esse sono buone e non cattive come gli odori, che il signor Ladislao contra lui tenne che fossero buoni, a gran torto, s'egli mi perdoni e mi tenga nella grazia sua.


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Il libro della bella donna
di Federico Luigini da Udine
L'Aristocratica Editrice Milano
1925 pagine 114

   





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