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      Ogni virtù, perduta la pudicizia, va per terra in una donna, la quale, mentre che salvo reca con seco il suo bel fiore verginale, è simile, come ben disse Catullo, e l'Ariosto in ciò sua scimia, alla rosa, che in bel giardino d'ogni intorno serrato e chiuso su la nativa spina riposandosi, e non avvicinandolesi greggia o pastore alcuno, è dall'aura dolce e soave, dall'alba rugiadosa, dall'acqua e dalla terra favorita in colmo, e giovani assai vaghi, e donne infinite innamorate e leggiadre desiano d'averla per ornare di lei e il seno e le tempie sue. Ma se quel fiore della castità è perduto subito, quella donna perde con esso lui tutto il favore e tutto l'amore, che le si voleva dal mondo a similitudine pure della rosa, la quale, rimossa dal materno stelo e verde ceppo, viene anco a rimovere da sè quel tanto di bene, di grazie e di bellezza, che dagli uomini e dal cielo aveva con tanta benignità, che vi si può aver inteso di sopra. Stando adunque nella salvezza di questa castità l'onore, e nella perdita il vituperio del sesso femminile, qual meraviglia è se di quelle, che veramente donne sono, molte se ne sono ritrovate che hanno a lei voluto posporre la propria vita? Io lascerò di dire quello che n'ha scritto di ciò il formator del Cortegiano, quel che si legge della casta Isabella appresso il Furioso, quel che si mostra appresso Livio intorno al fine del primo libro, appresso Ovidio intorno al fine del secondo de' suoi Fasti, appresso Dionisio al quarto, appresso Servio al Commentario ottavo sopra Virgilio, appresso il Petrarca nel sonetto, In tale stella, e in quell'altro, Cara la vita, e in mille altri luoghi della nomata poco dianzi e infelice Lucrezia.


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Il libro della bella donna
di Federico Luigini da Udine
L'Aristocratica Editrice Milano
1925 pagine 114

   





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