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      Più presto che concedere al magistrato civile l'assoluta potestà di nomare i pastori spirituali, i ministri della Chiesa di Scozia, ai tempi nostri, rinunciarono a migliaia le loro prebende. La Chiesa d'Inghilterra non patì cosiffatti scrupoli. I suoi prelati erano nominati dalla sola autorità regia; da lei sola i concilii venivano convocati, regolati, prorogati e disciolti. Privi della regia sanzione, i suoi canoni erano nulli. Uno degli articoli della sua fede prescriveva, che senza lo assenso regio nessun concilio poteva legalmente adunarsi. Da tutte le sue sentenze eravi un ultimo appello al sovrano, anche quando la questione era di definire se una opinione dovesse giudicarsi ereticale, o se l'amministrazione di un sacramento fosse stata valida. Né la chiesa invidiava ai nostri principi questo esteso potere. Da loro aveva ricevuta la esistenza, era stata nudrita nella infanzia, difesa contro le aggressioni dei papisti e dei puritani, protetta contro i parlamenti che non la guardavano di buon occhio, e vendicata dagli assalti de' dotti, ai quali le tornava duro rispondere. Così la gratitudine, la speranza, il timore, i comuni affetti e le inimicizie comuni, la collegavano al trono. Tutte le sue tradizioni e tendenze erano monarchiche. La lealtà ovvero devozione verso il sovrano divenne un punto d'onore annesso alla professione clericale, una nota speciale che distingueva i preti anglicani dai calvinisti e dai papisti. Entrambi, calvinisti e papisti, per quanto fosse ampia la distanza che nelle altre cose li teneva disgiunti, guardavano con estrema gelosia tutte le usurpazioni che il potere temporale faceva nel campo dello spirituale.


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Storia d'Inghilterra
di Thomas Babington Macaulay
Editore Felice Le Monnier Firenze
1859 pagine 1707

   





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