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      Egli non poteva legalmente far danari senza lo assenso del Parlamento. Ne seguiva quindi, o che egli dovesse amministrare il governo secondo il sentire della Camera de' Comuni, o dovesse correre il rischio di violare le leggi fondamentali del regno in modo, di cui per parecchi secoli non s'era visto esempio. I Plantageneti e i Tudors, egli è vero, avevano provveduto al difetto delle loro entrate per mezzo di un donativo o d'un prestito forzato; ma tali espedienti erano sempre d'indole temporanea. Il far fronte al peso continuo d'una lunga guerra con una tassa regolare, imposta senza il consentimento degli Stati del reame, era tale un passo che lo stesso Enrico VIII non avrebbe osato fare. L'ora decisiva, adunque, sembrava approssimarsi, in cui al Parlamento inglese sarebbe toccata la sorte dei senati del continente, o l'acquisto della preponderanza nel governo dello Stato.
      XXXVI. Ma in quel mentre il re Giacomo morì. Carlo I ascese al trono. Natura lo aveva dotato di molto migliore intendimento, di volontà più vigorosa, di temperamento più ardente e più fermo, che suo padre non era. Da costui aveva egli ereditati i principii politici, ed era più di lui disposto a metterli in opera. Era al pari del padre uno zelante episcopale; ed era inoltre ciò che il padre non era mai stato, voglio dire zelante arminiano; e quantunque non fosse papista, amava meglio i papisti che i puritani. Sarebbe cosa ingiusta negare a Carlo alcune delle doti convenevoli ad un principe buono e anche grande.


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Storia d'Inghilterra
di Thomas Babington Macaulay
Editore Felice Le Monnier Firenze
1859 pagine 1707

   





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