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      I Vescovi venivano accusati d'avere scritto e pubblicato un libello falso, maligno, e sedizioso. Lo scritto loro non era falso; perchè ogni fatto allegato provavano i Giornali del Parlamento esser vero. Lo scritto non era maligno; perchè gli accusati non avevano cercato pretesto ad una lotta, ma erano stati messi dal Governo in posizione tale che dovevano od opporsi al volere del Re, o violare i più sacri doveri della coscienza e dell'onore. Lo scritto non era sedizioso; perchè non era stato sparso dagli scrittori fra la plebe, ma privatamente messo da loro nelle mani del solo Re; e non era un libello, ma era una petizione decente, e tale che per le leggi della Inghilterra, anzi per le leggi di Roma Imperiale, per le leggi di tutti gli Stati inciviliti, un suddito che si creda gravato, può lecitamente presentare al Sovrano.
      Il Procuratore Generale nella sua risposta fu breve e fiacco. Lo Avvocato Generale parlò diffusissimamente e con grande acrimonia, e venne spesso interrotto da' clamori e dai fischi dell'uditorio. Giunse perfino ad affermare che nessun suddito o corporazione di sudditi, tranne le Camere del Parlamento, hanno diritto di presentare petizioni al Re. A tali parole le gallerie divennero furiose; e lo stesso Capo Giudice rimase attonito alla sfrontatezza di cotesto giubba-rivoltata.
      In fine Wright cominciò a riassumere la questione. Le sue parole mostravano che la paura ch'egli aveva del Governo era temperata da quella che gli aveva posta nell'animo un uditorio sì numeroso, sì illustre e sì grandemente concitato.


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Storia d'Inghilterra
di Thomas Babington Macaulay
Editore Felice Le Monnier Firenze
1859 pagine 1707

   





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