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      Le loro antipatie nazionali in quella età erano, per vero dire, irragionevolmente forti. Gl'Inglesi non erano assuefatti al freno e allo immischiarsi dello straniero. La comparsa d'un'armata forestiera nell'isola loro gli avrebbe spinti a correre sotto il vessillo d'un Re ch'essi non avevano ragione di amare. Guglielmo forse non avrebbe potuto vincere un tale ostacolo; ma Giacomo lo tolse di mezzo. Nemmeno l'arrivo di una brigata di moschettieri del Re Luigi avrebbe destato risentimento e vergogna quanto ne sentirono i nostri antenati allorchè videro le schiere de' Papisti, pur allora giunti da Dublino, marciare con pompa militare lungo le vie maestre. Niun uomo di sangue inglese considerava come compatriotti gl'Irlandesi aborigeni. Essi non appartenevano alla nostra razza; erano distinti da noi per più particolarità morali e intellettuali, che la diversità delle condizioni e della educazione, per quanto fosse grande, non bastava a spiegare. Avevano aspetto e idioma tutto proprio. Quando parlavano inglese, la loro pronunzia era ridicola; le loro frasi grottesche, come sempre sono le frasi di chi pensi in una lingua ed esprima i propri pensieri in un'altra. Per la qual cosa per noi essi erano stranieri; e di tutti gli stranieri erano i più odiati e tenuti in dispregio: i più odiati, perocchè per cinque secoli erano sempre stati nostri nemici; i più tenuti in dispregio, perocchè erano nostri nemici vinti, resi schiavi e spogliati. Lo Inglese paragonava con orgoglio i propri campi colle desolate lande, donde sbucavano i banditi a rubare ed assassinare, e la propria abitazione co' tuguri dove il villano e il maiale di Shannon s'avvoltolavano insieme nel sudiciume.


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Storia d'Inghilterra
di Thomas Babington Macaulay
Editore Felice Le Monnier Firenze
1859 pagine 1707

   





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