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      Essendo rimasta priva di suo marito Ferdinando Davalos, marchese di Pescara, nel fiore della sua gioventù, si dedicò interamente allo studio delle Sacre Carte, ritirandosi dal mondo, senza però legarsi con voti. I primi [187] scrittori del suo tempo hanno altamente lodato le sue virtù, e il suo ingegno (287). "In poesia italiana (dice uno di essi) Vittoria non è vinta che dal Petrarca. Nelle sue elegie sulla morte di suo marito, ha espresso il suo disprezzo pel mondo con le più belle immagini, e il più ardente entusiasmo dell'anima sua per le benedizioni del cielo" (288). La marchesa si associò coi riformatori di Napoli e fu reputata come uno dei loro più distinti allievi (289). Quando Ochino, per cui essa sentiva la più grande venerazione (290), abbandonò la Chiesa romana, si ebbe molto timore, ch'ella seguisse il suo esempio; e il cardinal Pole, che vegliava con la più gran gelosia sulla fede di lei, volle che gli promettesse di non leggere alcuna lettera, che potesse mai venirle diretta dal affascinante ex-cappuccino; o almeno [188] di non rispondere senza consultare o lui, o il cardinal Cervini. Ciò si rileva da una lettera a Cervini, poi papa Marcello II, nella quale essa dice, che dalla conoscenza che aveva di monsignor d'Inghilterra, era convinta di non poter errare seguendo il consiglio suo, e che perciò aveva obbedito alle sue istruzioni, trasmettendogli un piego di fra Bernardino, venutole da Bologna. Ella aggiunge in un poscritto, che si può considerare come una prova, che i suoi nuovi consiglieri erano riusciti in distorre la sua mente da Ochino, e confermare il suo attaccamento alla Chiesa romana: "Io mi addoloro in vedere, che più egli pensa di scusarsi, più si condanna; e più crede di salvar gli altri dal naufragio, più espone se stesso al diluvio, essendo lui fuori dell'arca, che salva e assicura.


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Istoria del progresso e dell'estinzione della Riforma in Italia nel secolo sedicesimo
di Thomas MacCrie
Tipogr. Lavagnino Genova
1858 pagine 449

   





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