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      Intanto a Venezia era tale l'impressione, che avevano ricevuto le menti di quei cittadini dalle prediche di Ochino, che ricorsero al papa, perchè concedesse loro di sentirlo una seconda volta. Sua Santità, perciò scrisse al cardinal di Carpi, che era il protettore dell'ordine dei cappuccini, di mandare Ochino a predicare a Venezia per la Quaresima del 1542, e nell'istesso tempo dette istruzione al nunzio apostolico d'invigilare sulla condotta del predicatore. Egli fu colà tanto accetto, che per risentirlo corse in folla la città intiera. Non pare, che nelle sue prediche usasse più grande [217] libertà di quella che aveva usata in simile occasione la prima volta. Contuttociò fu contra di lui fatta un'accusa di avere esposto delle dottrine non conformi alla fede cattolica, e particolarmente sull'articolo della giustificazione (329). Fu subito chiamato innanzi al nunzio, ed egli vi comparve senza temere; e tanto valorosamente si difese contro i suoi accusatori, che non potè trovarsi un pretesto plausibile per procedere a suo carico. Ochino non tardò ad avvedersi di essere circondato da spie, quindi sul pulpito si tenne per qualche tempo abbastanza circospetto; ma quando gli fu riferito che Giulio Terenziano di Milano, convertito da Valdesi e con cui a Napoli era stato intimamente legato, era messo in prigione, non seppe più trattenersi. In una predica, presenti i senatori, ed i primi personaggi della città, si fece a parlare di quell'avvenimento, e proruppe nei termini seguenti: "Che ci resta a fare, miei signori?


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Istoria del progresso e dell'estinzione della Riforma in Italia nel secolo sedicesimo
di Thomas MacCrie
Tipogr. Lavagnino Genova
1858 pagine 449

   





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