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      Della religione de' Romani.
     
     
      Avvenga che Roma avesse il primo suo ordinatore Romolo, e che da quello abbi a riconoscere, come figliuola, il nascimento e la educazione sua, nondimeno, giudicando i cieli che gli ordini di Romolo non bastassero a tanto imperio, inspirarono nel petto del Senato romano di eleggere Numa Pompilio per successore a Romolo, acciocché quelle cose che da lui fossero state lasciate indietro, fossero da Numa ordinate. Il quale, trovando uno popolo ferocissimo, e volendolo ridurre nelle obedienze civili con le arti della pace, si volse alla religione, come cosa al tutto necessaria a volere mantenere una civiltà; e la constituì in modo, che per più secoli non fu mai tanto timore di Dio quanto in quella republica; il che facilitò qualunque impresa che il Senato o quelli grandi uomini romani disegnassero fare. E chi discorrerà infinite azioni, e del popolo di Roma tutto insieme, e di molti de' Romani di per sé, vedrà come quelli cittadini temevono più assai rompere il giuramento che le leggi; come coloro che stimavano più la potenza di Dio, che quella degli uomini: come si vede manifestamente per gli esempli di Scipione e di Manlio Torquato. Perché, dopo la rotta che Annibale aveva dato ai Romani a Canne, molti cittadini si erano adunati insieme, e, sbigottiti della patria, si erano convenuti abbandonare la Italia, e girsene in Sicilia; il che sentendo Scipione, gli andò a trovare, e col ferro ignudo in mano li costrinse a giurare di non abbandonare la patria.


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Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio
di Niccolò Machiavelli
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