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      Né mi pare superfluo mostrare, nel seguente capitolo, l'ordine che teneva il Senato per ingannare il popolo nelle distribuzioni sue.
     
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      Chi vuole che uno magistrato
      non sia dato a uno vile o a uno cattivo,
      lo facci domandare o a uno troppo vile
      e troppo cattivo o a uno troppo nobile
      e troppo buono.
     
     
      Quando il Senato dubitava che i Tribuni con potestà consolare non fussero fatti d'uomini plebei, teneva uno de' due modi: o egli faceva domandare ai più riputati uomini di Roma; o veramente, per i debiti mezzi, corrompeva qualche plebeio vile ed ignobilissimo, che mescolati con i plebei che, di migliore qualità, per l'ordinario se lo domandavano, anche loro lo domandassono. Questo ultimo modo faceva che la plebe si vergognava a darlo; quel primo faceva che la si vergognava a torlo. Il che tutto torna a proposito del precedente discorso, dove si mostra che il popolo, se s'inganna de' generali, de' particulari non s'inganna.
     
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      Se quelle cittadi che hanno avuto
      il principio libero, come Roma,
      hanno difficultà a trovare legge
      che le mantenghino: quelle che lo hanno
      immediate servo, ne hanno quasi
      una impossibilità.
     
     
      Quanto sia difficile, nello ordinare una republica, provedere a tutte quelle leggi che la mantengono libera, lo dimostra assai bene il processo della Republica romana: dove, non ostante che fussono ordinate di molte leggi da Romolo prima, dipoi da Numa, da Tullo Ostilio e Servio, ed ultimamente dai dieci cittadini creati a simile opera; nondimeno sempre nel maneggiare quella città si scoprivono nuove necessità, ed era necessario creare nuovi ordini: come intervenne quando crearono i Censori i quali furono uno di quegli provvedimenti che aiutarono tenere Roma libera, quel tempo che la visse in libertà. Perché, diventati arbitri de' costumi di Roma, furono cagione potissima che i Romani differissono più a corrompersi.


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Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio
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