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      Ahi Pisa, vitupero delle gentidel bel paese là dove il suona,
     
      cioè d'Italia. Allegano ancora l'esemplo di Francia, dove tutto il paese si chiama Francia ed è detto ancora lingua d' e d'oc, che significano, appresso di loro, quel medesimo che, appresso l'Italiani, . Adducono ancora in esemplo tutta la lingua tedesca, che dice e tutta la Inghilterra, che dice ies. E forse da queste ragione mossi, vogliono molti di costoro che qualunque è in Italia che scriva e parli, scriva e parli in una lingua. Alcuni altri tengono che questa particula non sia quella che regoli la lingua; perché se la regolasse, e i Siciliani e li Spagnuoli sarebbono ancor loro, quanto al parlare, Italiani. E però è necessario si regoli con altre ragioni; e dicono che chi considera bene le otto parti dell'orazione nelle quali ogni parlare si divide, troverrà che quella che si chiama verbo è la catena e il nervo della lingua; e ogni volta che in questa parte non si varia, ancora che nelle altre si variasse assai, conviene che le lingue abbino una comune intelligenza. Perché quelli nomi che ci sono incogniti ce li fa intendere il verbo, quale infra loro è collocato; e così, per il contrario, dove li verbi sono differenti, ancora che vi fusse similitudine ne' nomi, diventa quella un'altra lingua. E per esemplo si può dare la provincia d'Italia; la quale è in una minima parte differente nei verbi ma nei nomi differentissima, perché ciascuno Italiano dice amare, stare e leggere, ma ciascuno di loro non dice già deschetto, tavola e guastada. Intra i pronomi, quelli che importano più sono variati, sì come è mi in vece d'io, e ti per tu.


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Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua
di Niccolò Machiavelli
pagine 17

   





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