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      Perché non per commodità di sito, né per ingegno, né per alcuna altra particulare occasione meritò Firenze esser la prima, e procreare questi scrittori, se non per la lingua commoda a prendere simile disciplina; il che non era nell'altre città. E che sia vero, si vede in questi tempi assai Ferraresi, Napoletani, Vicentini e Viniziani, che scrivono bene e hanno ingegni attissimi allo scrivere; il che non potevano far prima che tu, il Petrarca e il Boccaccio, avessi scritto. Perché a volere ch'e' venissino a questo grado, disaiutandoli la lingua patria, era necessario ch'e' fussi prima alcuno il quale, con lo esemplo suo, insegnassi com'egli avessino a dimenticare quella lor naturale barbaria nella quale la patria lingua li sommergeva.
      Concludesi, pertanto, che non c'è lingua che si possa chiamare o comune d'Italia o curiale, perché tutte quelle che si potessino chiamare così, hanno il fondamento loro dagli scrittori fiorentini e dalla lingua fiorentina; alla quale in ogni defetto, come a vero fonte e fondamento loro, è necessario che ricorrino; e non volendo esser veri pertinaci, hanno a confessar la fiorentina esser questo fondamento e fonte.
      Udito che Dante ebbe queste cose, le confessò vere, e si partì, e io mi restai tutto contento, parendomi d'averlo sgannato. Non so già s'io mi sgannerò coloro che sono sì poco conoscitori de' beneficii ch'egli hanno auti dalla nostra patria, che e' vogliono accomunare con essa lei nella lingua Milano, Vinegia e Romagna, e tutte le bestemmie di Lombardia.


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Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua
di Niccolò Machiavelli
pagine 17

   





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