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      Ma, ritornate le genti di Pipino in Francia, Aistulfo non osservò lo accordo, e il Papa di nuovo ricorse a Pipino; il quale di nuovo mandò in Italia, vinse i Longobardi e prese Ravenna; e contro alla voglia dello imperadore greco, la dette al Papa con tutte quelle altre terre che erano sotto il suo esarcato, e vi aggiunse il paese di Urbino e la Marca. Ma Aistulfo, nel consegnare queste terre, morì, e Desiderio lombardo, che era duca di Toscana, prese le armi per occupare il regno, e domandò aiuto al Papa, promettendogli la amicizia sua; e quello gliene concesse, tanto che gli altri principi cederono. E Desiderio osservò nel principio la fede, e seguì di consegnare le terre al Pontefice, secondo le convenzioni fatte con Pipino: né venne più esarco da Gostantinopoli in Ravenna; ma si governava secondo la voglia del pontefice.
     
     
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      Morì di poi Pipino, e successe nel regno Carlo suo figliuolo, il quale fu quello che per la grandezza delle cose fatte da lui, fu nominato Magno. Al papato intanto era successo Teodoro I. Costui venne in discordia con Desiderio e fu assediato in Roma da lui; talché il Papa ricorse per aiuti a Carlo, il quale, superate le Alpi, assediò Desiderio in Pavia, e prese lui e i figliuoli, e li mandò prigioni in Francia; e ne andò a vicitare il Papa a Roma, dove giudicò che il papa, vicario di Dio, non potesse essere dagli uomini giudicato; e il Papa e il popolo romano lo feciono imperadore. E così Roma ricominciò ad avere lo imperadore in occidente; e dove il papa soleva essere raffermo dagli imperadori, cominciò lo imperadore, nella elezione, ad avere bisogno del papa, e veniva lo Imperio a perdere i gradi suoi, e la Chiesa ad acquistargli; e per questi mezzi sempre sopra i principi temporali cresceva la sua autorità. Erano stati i Longobardi dugentotrentadue anni in Italia, e di già non ritenevano di forestieri altro che il nome: e volendo Carlo riordinare la Italia, il che fu al tempo di papa Leone III, fu contento abitassero in quegli luoghi dove si erano nutriti, e si chiamasse quella provincia, dal nome loro, Lombardia.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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