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      Fu facile alle Arti fare questo ordine, per le gravi inimicizie che intra i nobili vegghiavano; i quali non prima pensorono al provedimento fatto contro di loro, che viddono la acerbità di quella esecuzione; il che dette loro da prima assai terrore: non di meno poco di poi si tornorono nella loro insolenzia; perché, sendone sempre alcuni di loro de' Signori, avevano commodità di impedire il Gonfaloniere, che non potesse fare l'uficio suo. Oltra di questo, avendo bisogno lo accusatore di testimone quando riceveva alcuna offesa, non si trovava alcuno che contro a' nobili volesse testimoniare; talché in breve tempo si tornò Firenze ne' medesimi disordini, e il popolo riceveva dai Grandi le medesime ingiurie, perché i giudicii erano lenti e le sentenzie mancavano delle esecuzioni loro.
     
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      E non sapiendo i popolani che partiti si prendere, Giano della Bella di stirpe nobilissimo, ma della libertà della città amatore, dette animo ai capi delle Arti a riformare la città; e per suo consiglio si ordinò che il Gonfaloniere residesse con i Priori, e avesse quattromila uomini a sua ubbidienza; privoronsi ancora tutti i nobili di potere sedere de' Signori; obligoronsi consorti del reo alla medesima pena che quello; fecesi che la publica fama bastasse a giudicare. Per queste leggi, le quali si chiamorono gli Ordinamenti della iustizia, acquistò il popolo assai reputazione, e Giano della Bella assai odio; perché era in malissimo concetto de' potenti, come di loro potenza distruttore, e i popolani ricchi gli avevano invidia, perché pareva loro che la sua autorità fusse troppa; il che, come prima lo permisse la occasione, si dimostrò. Fece adunque la sorte che fu morto uno popolano in una zuffa dove più nobili intervennono, intra i quali fu messer Corso Donati; al quale, come più audace che gli altri, fu attribuita la colpa; e per ciò fu da il Capitano del popolo preso; e comunque la cosa si andasse, o che messer Corso non avesse errato, o che il Capitano temesse di condannarlo, e' fu assoluto.


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Istorie fiorentine
di Niccolò Machiavelli
pagine 526

   





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